Piazza dei Miracoli
“Sorge Isolata da OGNI Parte la cattedrale, Nel grande piano silenzioso e verde, chiuso Dalle mura merlate della città medioevale, il Che in Quella solitudine elevòmirabili monumenti della SUA vita passata […] In quell’isolamento, la cattedrale candida, aperta alla vista da OGNI altera parte, SEMBRA modellata e compiuta con ONUvasto e omogeneo Atto creatore “
lo storico dell’arte Pietro Toesca coglie l’impressione di forza e d’armonia Che il duomo trasmette. L’edificio E Frutto Di Una straordinaria sapienza Umana sostenuta daUna forte Coscienza civica e da Una fede religiosa Capace di modellare Una civiltà. E Una cattedrale non nasce per incanto, ma costituisce Un Punto d’Arrivo, ONUapprodo Consapevole.
L’Importanza assegnata Dai Pisani alla Costruzione della Cattedrale E leggibile Nelle epigrafi tuttora murate in facciata: la lapide del Vescovo Guido, Che ne inizio laCostruzione, resa possibile dal favoloso bottino Fornito ai Pisani dal saccheggio di Palermo del 1063, Quella di Buschetto, il primo geniale architetto, in cui l’edificio eDefinito “tempio di marmo bianco venire la neve”, e Quella relativa alle Imprese antisaracene di Reggio, Sardegna e Bona, in Africa.
Nel Fondata 1064 e consacrata con grande solennità il 26 settembre del 1118, la Costruzione della Cattedrale conobbe causa FASI, legato respectively Agli architettiBuscheto, cui si DEVE l’impianto Originario con Corpo basilicale a cinque navate, transetto a tre navate e cupola Sulla crociera , e Rainaldo, Responsabile delprolungamento dell’edificio e della facciata. La Costruzione fu Definitivamente conclusa soltanto nell? Ultimo quarto del XII Secolo, when, Nel portale centrale, Furonocollocati i battenti bronzei di Bonanno, Andati perduti Nel devastante incendio del 1595, un Seguito del Quale Furono Effettuate numerose sostituzioni di opere distrutteed avviato ONU vasto Programma decorativo.
Il Duomo Presenta Nel Suo paramento esterno contrastate cromie bianco-nere, SIA una zona ASI di fasce, di matrice araba, ndr ONU uso massiccio di Materiali direimpiego provenienti da monumenti d’età romana, allo Scopo di sottolineare la grandezza della città di Pisa , “altera Roma”. Elementi decorativi Quali losanghe, ONUgrifone bronzeo di manifattura islamica sul culmine del tetto, ed altri “orientalismi”, vieni la cupola a pianta ellittica, Radicati Nella cultura mediterranea della città eDell’Architetto, Danno forma e colore ad Un monumento Straordinariamente nuovo ed antico al tempo Stesso.
L’interno Presenta la navata centrale delimitata da causa di file di colonne monolitiche in granito dell’Isola d’Elba, fiancheggiata da quattro navatelle, Spartite dacolonnati di minori Dimensioni, sopra le Quali si estendono vasti matronei, Coperti da Volte a crociera e Affacciati Sulla navata centrale per mezzo di bifore e quadrifore. Copre la navata centrale dell’ONU soffitto ligneo a cassettoni Che ha sostituito, Nel XVII Secolo, le originarie capriate a vista.
Ricco e sontuoso apparato decorativo e L’della Cattedrale pisana, il cui Sviluppo e legato ad Una storia tormentata Spesso, Segnata da eventi calamitosi talvolta, Chetrovano il culmine nell’incendio del 1595. Delle Importanti Commissioni Che andarono a Integrare l’arredo della Cattedrale nella Prima metà del Trecento restano Così laDecorazione musiva dei catini absidali – in cui si DEVE un Cimabue la figura di San Giovanni Evangelista (1302 ca.), il nuovo pulpito (1302-1310) di Giovanni Pisano elo smembrato monumento sepolcrale dell ‘imperatore Arrigo VII (1315), tempo ONU al centro dell’abside, Sulle cui vicende costruttive Si e tentato di gran lunga lucecon il Progetto Un monumento per l’Imperatore.
BATTISTERO
Lo storico dell’arte Antonio Milone scrive: ” […] Il Battistero è di certo il più internazionale degli edifici medievali pisani. Il suo cantiere rappresenta a Pisa il fulcro di una nuova sperimentazione. Nelle botteghe che vi si avvicendano, negli artisti che vi operano, nelle opere che vi vengono realizzate, ritroviamo gli apici della triangolazione culturale che caratterizza i periodi più fecondi della produzione artistica medievale, tra Bisanzio, gli Arabi e l’Europa”.
Il 15 agosto dell’anno pisano1153 (1152 secondo il calendario comune), giorno della festa patronale dedicata a Santa Maria Assunta, fu fondato il Battistero di San Giovanni. Non fu il primo edificio battesimale costruito a Pisa, resti di un più antico battistero ottagonale, risalente al V-VI secolo, giacciono nel terreno sottostante il Camposanto Monumentale, dove furono rinvenuti nel 1936.
Il Battistero si configura come uno degli elementi cardine dell’idea della piazza che maturava nel XII secolo a Pisa: quello che andava determinandosi era uno spazio atto a privilegiare la veduta frontale della facciata del Duomo, la cui assialità veniva ora sottolineata dalla realizzazione, sulla medesima linea, di un edificio significativo come il Battistero.
La ragione che portò alla costruzione di un edificio tanto affascinante, quanto enigmatico fu certamente la volontà di corredare il Duomo di un adeguato complemento: un Battistero che per posizione, ampiezza, materiale, stile si accordasse con l’edificio, tanto imponente e caratterizzato, che gli preesisteva. Questi potrebbero essere i termini in cui i rappresentanti del potere ecclesiastico e civile pisano, che allo scopo avevano creato un apposito organismo, l'”Opera ecclesiae Sancti Iohannis Baptiste”, avevano espresso i loro desideri all’architetto Deotisalvi, la cui figura rimane in ombra, difficilmente ricostruibile a causa della totale assenza di fonti scritte in proposito. L’iscrizione “Deotisalvi magister huius operis”, “Deotisalvi è l’autore di quest’opera”, riportata su un pilastro del Battistero, dichiara la paternità dell’edificio.
Secondo la medesima fonte, nel 1163 si ordinò che ciascuna famiglia della città di Pisa, ogni primo giorno del mese, versasse un denaro per proseguire la costruzione. Ciò mette in evidenza il contributo civico al monumento, dimostrato anche dalla messa in opera delle colonne con giornate di lavoro organizzate dai diversi quartieri della città.
È il più grande battistero in Italia: la sua circonferenza misura 107,24 m., mentre la larghezza della muratura alla base è due metri e 63 cm., per un’altezza di 54 metri e 86 centimetri. La cupola è coperta da tegoli rossi verso il mare e da lastre di piombo verso levante.
Il grande cilindro è cinto, come la Cattedrale, da arcate su colonne, e come questa è costruito in marmo bianco listato di grigio. All’interno otto colonne monolitiche che gareggiano in altezza con quelle della Cattedrale, alternate a quattro pilastri, delimitano uno spazio centrale occupato dal fonte battesimale ottagono di Guido da Como (1246) fiancheggiato dal Pulpito di Nicola Pisano (1260). Un matroneo, coperto da una volta anulare, si affaccia sul vano centrale con una serie di ampi archi a tuttotondo. Il sistema di copertura è costituito da una doppia cupola, l’interna a tronco di piramide dodecagonale, l’esterna a calotta emisferica, sormontata a sua volta da un cupolino. proprio la particolare struttura architettonica della copertura fa si che il battistero pisano sia dotato di un’acustica eccezionale. Ogni 30 minuti é possibile apprezzarla grazie alle intonazioni vocali del personale di sorveglianza.
CAMPOSANTO MONUMENTALE
Luogo capitale dell’arte italiana e meta irrinunciabile già nel Settecento per viaggiatori, artisti e letterati, il Camposanto di Pisa ha visto la sua fortuna appannarsi nel corso del XX secolo, spodestato dalla crescente popolarità della torre pendente e colpito da avverse vicende, cui i restauri di questi anni stanno finalmente ponendo rimedio.
Il Camposanto è l’ultimo dei monumenti a sorgere sulla Piazza del Duomo e la sua lunga parete marmorea ne delimita il confine settentrionale definendola compiutamente. Viene fondato nel 1277 per accogliere i sarcofagi di epoca romana, fino a quel momento disseminati attorno alla Cattedrale e reimpiegati come sepolture dei pisani illustri. Nelle intenzioni dell’Arcivescovo Federico Visconti l’edificio doveva essere un luogo “ampio e decoroso, appartato e chiuso”. Nasce così una delle più antiche architetture medievali cristiane destinate al culto dei morti.
Inizialmente i sarcofagi sono collocati nello spazio centrale scoperto che, secondo la tradizione, accoglie come un grande reliquiario la “terra santa” portata dalla Palestina al tempo della II crociata (1146). Sotto il pavimento dei corridoi laterali trovano invece posto più umili sepolture.
Nel corso del Trecento, mentre la struttura prende forma, le pareti interne si animano di meravigliosi affreschi incentrati sul tema della Vita e della Morte, realizzati dai due grandi artisti dell’epoca quali Francesco Traini, Bonamico Buffalmacco, che sembrano mettere in scena le prediche declamate in città dal domenicano Cavalca o le spaventose visioni della Commedia di Dante; quest’ultimo riferimento è evidente soprattutto nel Trionfo della Morte e nel Giudizio Universale dipinti da Buffalmacco, noto anche come protagonista di alcune novelle del Boccaccio. Il ciclo procede nell’avanzato Trecento con le Storie dei Santi Pisani di Andrea Bonaiuti, Antonio Veneziano e Spinello Aretino e con Storie dell’Antico Testamento, iniziate da Taddeo Gaddi e Piero di Puccio e concluse alla metà del Quattrocento dal fiorentino Benozzo Gozzoli lungo la parete settentrionale.
Dal Cinquecento il Camposanto accoglie i sepolcri dei più prestigiosi docenti dell’Ateneo Pisano e dei membri della famiglia dei Medici, che allora dominavano la città, cui alludono anche i personaggi delle scene bibliche affrescate sulle pareti brevi. Il monumento si avvia a diventare il Pantheon delle memorie locali: non solo delle persone e delle famiglie, ma anche del glorioso passato classico e medievale di Pisa. Comincia quindi a delinearsi la vocazione museale dell’edificio con l’inserimento nelle pareti di epigrafi romane e lo spostamento nei corridoi dei sarcofagi, considerati adesso preziosi documenti di storia ed arte.
Tale vocazione si afferma definitivamente agli inizi dell’Ottocento, quando il Camposanto diventa uno dei primi musei pubblici d’Europa. Negli stessi anni in cui per decreto napoleonico molte opere d’arte vengono sottratte agli enti religiosi e condotte in Francia, Carlo Lasinio, nominato Conservatore del Camposanto dalla regina d’Etruria Maria Luisa, raccoglie tra le pareti affrescate sculture e dipinti che si trovavano in chiese e conventi cittadini soppressi. A queste opere se ne aggiungono altre provenienti dalla Cattedrale e dal Battistero, insieme a reperti recuperati nei locali siti archeologici e sul mercato antiquario. Allo stesso tempo continuano ad essere eretti nei corridoi ribattezzati gallerie – monumenti celebrativi e funebri dedicati ai personaggi pisani più importanti.
Il Camposanto si presenta quindi come luogo di celebrazione patriottica e insieme di meditazione sulla morte, intesa non solo come perdita privata ma anche sociale e politica che vede lo svanire delle glorie e delle civiltà. Tale fascino melanconico e la singolare mescolanza di epoche e stili, dall’antichità all’età moderna, fa del monumento uno dei luoghi più amati dai romantici, visitato, ammirato e studiato da artisti e letterati di tutta Europa.
Gli affreschi, la cui fama si diffonde soprattutto nell’Ottocento attraverso il moltiplicarsi di schizzi, disegni e incisioni, già allora si trovano però in uno stato di vistoso degrado. Mentre intere porzioni di scene rovinano a terra, per tutto il secolo e persino nel seguente si susseguono analisi e sperimentazioni di restauro per tentare di arginare lo sfarinamento del colore e i distacchi dell’intonaco. La decadenza del Camposanto non è dovuta però soltanto alle problematiche legate agli affreschi: le sculture e i dipinti che vi erano stati esposti da Lasinio ne escono per entrare in musei di più moderna concezione; l’eccelsa statuaria funebre ottocentesca ne viene allontanata, nel tentativo di restituire all’edificio il presunto aspetto medievale.
Tuttavia il momento più drammatico giunge durante la seconda guerra mondiale: il 27 luglio 1944 una granata provoca un terribile incendio, interrompendo con violenza le polemiche e i progetti sulla conservazione degli affreschi.
TORRE DI PISA(CAMPANILE)
Quando si nomina Pisa si pensa subito alla famosa Torre Pendente…..monumento che ha assunto importanza nei secoli per via della sua accentuata pendenza che ha fatto preoccupare e allo stesso tempo, ha attratto la curiosità di numerosi esperti e di semplici turisti; per tale motivo la Torre (campanile della Cattedrale di Santa Maria Assunta in Piazza del Duomo), è stata rinominata Torre Pendente.
Nel 1173 iniziano i lavori di costruzione della torre di Pisa che si conclude però nel 1350
56metri, 8 piani, 7 campane
La Torre di Pisa, posta su un terreno argilloso e sabbioso, sembra cominciò ad inclinarsi fin dall’edificazione del terzo piano tanto che si dovettero sospendere i lavori per poi riprenderli anni dopo, costruendo i piani successivi con una curvatura in senso opposto alla pendenza.
Il progetto originale si pensa sia stato di Diotisalvi, che nello stesso periodo stava costruendo anche il Battistero.
La costruzione continuò fino al completamento nel 1350, raggiungendo un’altezza di circa 56 metri e un peso di 14.523 tonnellate, riuscendo a mantenerla in equilibrio perché la verticale che passa per il baricentro cade all’interno della base di appoggio.
I piani complessivi sono 8, circondati da una loggetta con archi a tutto sesto, che riprendono il motivo della facciata della cattedrale e poichè la torre ne costituisce appunto il campanile, vennero collocate 7 campane: Assunta (la più grande che pesa 3620 kg), Crocifisso, San Ranieri, Dal Pozzo, Pasquereccia, Terza, Vespruccio, le quali suonano ancora oggi prima delle messe in Duomo ed a mezzogiorno tramite un sistema elettronico e che un tempo era adibite ognuna ad un momento della giornata liturgica. La campana Pasquareccia, la più antica, si chiamava originariamente Giustizia e si trovava nell’omonimo palazzo e veniva impiegata per avvisare della morte dei traditori.
La struttura del campanile è costituita da due stanze: una alla base della torre, conosciuta come Sala del pesce, avendo al suo interno un bassorilievo raffigurante appunto un pesce e l’altra è la cella campanaria, posta al settimo anello, delimitata dalle mura del camminamento superiore, a cielo aperto, mentre al centro, tramite un’apertura, è possibile vedere il pianterreno della torre. Per salire in cima alla torre, occorre percorrere tre rampe di scale a chiocciola.
“La torre che pende che pende che ma verrà giù”
Così recita un motivetto storico pisano… ma sarà vero?
Nel corso dei secoli nonostante l’aumento della pendenza della Torre, si sono avvicendati anche periodi di stabilità o riduzione e molti si sono interessati alla soluzione del problema!
Nel corso dell’Ottocento analisi del terreno effettuate durante lavori di restauro, evidenziarono la presenza di una grande quantità di acqua sotterranea che rendeva appunto cedevole il terreno. Pertanto l’architetto Alessandro Gherardesca nel 1838 che stava seguendo i lavori di ristrutturazione del campanile ebbe l’incarico di riportare in luce tutto il primo ordine del monumento, che era ceduto nel terreno a causa dell’innalzamento del suolo nel corso dei secoli. Si cercò quindi di aspirarla con delle pompe, ma ciò provocò il fenomeno della subsidenza, ossia un abbassamento verticale della superficie terrestre che accentuò la pendenza della torre!
Nel 1908 venne istituita dal Ministro della Pubblica Istruzione una “Commissione per lo studio delle condizioni della Torre di Pisa” e nel 1935, Giovanni Girometti intervenne per isolare le fondamenta tramite iniezioni di cemento, ben 92 tonnellate, praticando 391 fori obliqui, alla base del cilindro e vennero rimosse le lastre del pavimento per distendere
il cemento. Ciò provocò danni maggiori del precedente in quanto la pendenza aumentò!
Successivamente,anche negli ultimi decenni del XX secolo l’aumento era stato tale da far pensare al possibile crollo, cosi nel luglio 1973 venne progettata un‟ opera provvisionale a struttura reticolare che prevedeva l’applicazione di un sistema reticolare tubolare con funzione di contrappeso. Un ulteriore soluzione venne messa a punto con il Progetto KONOIKE: trasformare le proprietà meccaniche del terreno sottostante la torre e alle fondazioni del campanile, miscelando attraverso particolari apparecchiature il terreno con una sospensione di cemento e di particolari sostanze chimiche inorganiche, in maniere continua e uniforme.
Nel 1993 la pendenza era arrivata a 4,5 gradi. Si iniziò a pensare alla concreta possibilità di crollo dell’edificio e nel 1990, durante ulteriori lavori di consolidamento, vennero posti alle estremità dei contrappesi di piombo di quasi 900 kg che aiutarono a contrastare la pendenza del campanile e la riportarono alla pendenza che doveva avere 200 anni prima e assicurando cosi anche la possibilità di visita da parte dei turisti.
Tra il 1999 e il 2001 a causa della costante instabilità, si pensò poi di attuare una specie di sotto-escavazione del terreno, mediante 41 perforazioni inclinate, rimuovendo i contrappesi di piombo ed eliminando anche la struttura che sosteneva l‘intero monumento. Eliminando una certa quantità di terreno sottostante si ridusse l’inclinazione della Torre di 0,5°, pari a 50 cm e si valutò che in tale maniera si sarebbe fermato il rischio di instabilità, prevedendo che la torre potesse rimanere cosi inclinata, salvo piccoli e occasionali movimenti dovuti ai cambiamenti stagionali di temperatura e die livelli delle acque. Sono stati anche collocati dei sensori sottoterra che misurano propri tali variazioni e cosi esattamente il 22 aprile 2011, a distanza di 10 anni si rileva come la pendenza dal 2008 si sia fermata a 4 gradi e possa anzi continuare a raddrizzarsi.
Il merito del successo di tale operazione fu di Michele Jamiolkowski, docente del Politecnico di Torino e presidente del Comitato internazionale per la Salvaguardia della Torre di Pisa dal 1990 al 2001; di Carlo Viggiani, docente del Dipartimento di Ingegneria Geotecnica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Presidente del Comitato Internazionale per la Conservazione dei Monumenti e dei Siti Storici e di J. B. Burland, professore del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Imperial College di Londra.